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TAVOLO DI CONSULTAZIONE UCEI/FIEP

11/09/2020 11:53:45 AM

Sep11

Le Comunità Ebraico Progressive italiane, presenza ormai consolidata nell’ebraismo italiano, da tempo chiedono attraverso la loro Federazione, la Fiep, il riconoscimento dei diritti che lo Stato concede agli ebrei del nostro Paese attraverso l’Intesa raggiunta tra lo Stato e  l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Su questa base la Fiep ha inviato all’Ucei la richiesta di un riconoscimento alla quale l’Unione delle Comunità Ebraiche ha risposto indirettamente, negandone la  possibilità  ricorrendo all’interpretazione – da noi non condivisa – che l’Ebraismo Progressivo non rientrerebbe nelle “istituzioni dell’ebraismo italiano, da sempre inquadrate nell’ambito del mondo ebraico ortodosso”.

Nello stesso tempo l’Ucei si è dichiarata disponibile a un confronto a cui le realtà italiane dell’Ebraismo Progressivo – pur continuando a perseguire quelli che ritengono diritti legittimi – non si sono sottratte, convinte che approfondendo la reciproca conoscenza si possa arrivare a un dialogo e a rapporti sereni, contribuendo a un arricchimento dell’ebraismo italiano.

In questi mesi il confronto è iniziato con due incontri, il 29 gennaio e il 15 giugno, delle delegazioni composte per la Fiep dalle presidenti Franca Eckert Coen e Joyce Bigio, e dai presidenti delle comunità locali Carlo Riva (Lev Chadash Milano), Carey Bernitz (Beth Shalom Milano), Stefano Ridolfi (Beth Hillel Roma), Leonard Robbins (Shir Hadash Firenze) e Sandro Ventura, segretario Fiep; per l’Ucei da da rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova, vice-presidente dell’ARI ed assessore UCEI con delega al culto, Livia Ottolenghi, assessore UCEI con delega a scuola formazione e giovani, Davide Jona Falco, coordinatore della commissione UCEI Statuto e regolamenti.

L’Ucei nel primo incontro ha proposto di discutere alcuni punti riguardanti possibili necessità ‘cultuali da parte dell’ebraismo progressivo e di collaborazione in merito a sicurezza, lotta all’antisemitismo e antisionismo, produzione ebraica contemporanea. Temi approfonditi anche nell’incontro di giugno, al termine del quale si è ribadita la necessità di continuare il confronto decidendo, inoltre, di diffondere comunicati separati, ma concordati, sull’avvio del Tavolo di consultazione.

Delegazione Fiep Tavolo di Consultazione con Ucei

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Quesi i comunicati delle due delegazioni:

Si è tenuto il 15 giugno 2020 il secondo Tavolo di consultazione  tra l’Unione comunità ebraiche italiane e la Federazione italiana ebraismo progressivo con l’incontro tra i rappresentanti dell’ UCEI (rav Riccardo Di Segni, rav Giuseppe Momigliano, Davide Jona Falco, Livia Ottolenghi) e della FIEP, Federazione Italiana per l’Ebraismo Progressivo (Franca Eckert Coen, Joyce Bigio, Carlo Riva, Leonard Robbins, Carey Bernitz, Stefano Ridolfi e Sandro Ventura).

Obiettivo del Tavolo di consultazione è approfondire la reciproca conoscenza, affrontando temi e problemi di comune interesse per una maggior collaborazione per il bene comune dell’ebraismo italiano.

La Delegazione FIEP

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Dopo il primo incontro del 29 gennaio 2020, il giorno 15 giugno 2020 si è tenuto il secondo incontro del Tavolo di Consultazione tra l’UCEI-Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la FIEP-Federazione Italiana Ebraismo Progressivo. La delegazione dell’UCEI, designata dalla Giunta, è composta da rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova, vice-presidente dell’ARI ed assessore UCEI con delega al culto, Livia Ottolenghi, assessore UCEI con delega a scuola formazione e giovani, Davide Jona Falco, coordinatore della commissione UCEI Statuto e regolamenti. Erano presenti al secondo incontro per conto FIEP le due presidenti Franca Eckert Coen e Joyce Bigio, quest’ultima anche consigliera UCEI, oltre ai rappresentanti delle quattro congregazioni locali Carlo Riva, Leonard Robbins, Carey Bernitz, Stefano Ridolfi e Sandro Ventura.
Il Tavolo di consultazione è stato istituito su proposta della delegazione UCEI designata dalla Giunta UCEI; scopo dell’iniziativa è avviare innanzitutto un momento di reciproca conoscenza che consenta un dialogo sereno tra le due istituzioni, pur consapevoli delle differenze di base che le contraddistinguono. Nell’ambito dell’approfondimento di temi ed istanze poste da FIEP sono state prese in considerazione in maniera più specifica le necessità cultuali (miloth, spazi cimiteriali, calendario festività, ecc), e questioni di sicurezza, si è anche accennato ad eventuali argomenti di comune interesse legati alla Memoria, ad Israele, alla lotta contro antisemitismo e antisionismo, ed alla produzione culturale ebraica contemporanea. Nella seconda riunione è proseguito un dibattito ordinato sugli argomenti all’ordine del giorno e si è convenuto per un nuovo aggiornamento in un prossimo incontro. La delegazione UCEI ha riferito gli esiti del lavoro fin qui compiuto alla Giunta UCEI.

UCEI

20 LIBRI DI AUTORI EBREI NERI CHE DOVRESTE LEGGERE

11/06/2020 03:31:38 PM

Jun11

Emily Burack

Da memorie e romanzi alla poesia e letteratura per giovani, questi autori meritano la vostra attenzione nella vostra pratica di lettura.

Di Emily Burack, 5 giugno 2020 

su www.heyalma.com

A proposito di tutto, dunque, abbiamo deciso che era passato il tempo di darvi un elenco di libri di autori ebrei neri da leggere. Da memorie e romanzi alla poesia e letteratura per giovani, questi libri meritano la vostra attenzione non solo ora, poiché il razzismo verso i neri è in prima linea attualmente nel dibattito in America, ma come parte delle vostre abitudini di lettura.

L'intero elenco è acquistabile su Bookshop, una piattaforma che supporta librerie indipendenti. Potete anche prendere in considerazione di acquistarli direttamente da una di queste librerie indipendenti di proprietà di neri. Inoltre, questo elenco non è completo: solo un inizio. Buona lettura!!

 

 

Memorialistica

1. The color of love: la storia di una ragazza ebrea di razza mista, di Marra B. Gad

"I ragazzi ebrei non si spiegavano la mia pelle bruna. E i ragazzi neri non potevano capire o accettare il mio ebraismo”, scrive Marra Gad nel suo potente libro di memorie Il colore dell'amore. Nata a New York City nell'aprile del 1970 da madre ebrea bianca e papà non ebreo nero, è stata adottata da una famiglia ebrea bianca a Chicago tre giorni dopo la sua nascita. Concentrandosi principalmente sulla sua infanzia a Chicago, scrive del razzismo che ha incontrato dalla sua comunità e della famiglia allargata.

"Spesso le persone vogliono che io fornisca risposte che non posso dare e che dica loro che le cose vanno meglio ora di quanto non andassero negli anni '70, '80, '90. Spesso i nonni orgogliosi mi mostrano le fotografie dei loro splendidi nipoti birazziali e multirazzialivogliono che io prometta che i loro nipoti non sperimenteranno le cose che ho sperimentato io", ha detto Gad in un'intervista. “Prego che un giorno sarò in grado di fare proprio questo. Ma, purtroppo, non posso farlo ancora."

Curiosità: Marra Gad è una produttrice cinematografica! In particolare, ha prodotto Girl Most Likely con Kristin Wiig e Annette Bening nel 2012. 

 

2. Black White ed Jewish: autobiografia della mutevolezza, di Rebecca Walker

Rebecca Walker è la figlia della famosa scrittrice nera Alice Walker e dell'avvocato ebreo Melvyn Rosenman Leventhal. Mel e Alice hanno divorziato quando Rebecca aveva 7 anni e lei è cresciuta dividendo il suo tempo tra la comunità di suo padre a Riverdale, un quartiere ebraico nel Bronx, e la comunità prevalentemente nera di sua madre a San Francisco. Il suo libro descrive i primi anni della sua vita nel Mississippi (Alice e Mel erano attivi nel movimento per i diritti civili) e la sua crescita con due genitori molto diversi. 

Curiosità: all'età di 22 anni, Rebecca Walker ha coniato il concetto di "femminismo della terza ondata".

 

3. The Last Black Unicorn, di Tiffany Haddish.  

Tiffany Haddish incontrò suo padre, un ebreo eritreo, per la prima volta quando aveva 27 anni. L’incontro fu l’inizio di un viaggio alla ricerca dei suoi retaggi ebraici ed eritrei e, lo scorso dicembre, è diventata ufficialmente Bat Mizvà. (Il suo Bat  Mizvà è stato una forte affermazione per gli ebrei neri ovunque.) L'ultimo unicorno nero, l‘autobiografia di Haddish, ci accompagna attraverso la sua infanzia e il suo viaggio nella commedia. Come molti altri ebrei di colore, Haddish ha sperimentato la sua dose di razzismo e discriminazione quando entrava in spazi ebraici prevalentemente bianchi. Ma, come ha detto ad Alma lo scorso inverno, "non ho alcun problema a dire: qui è dove dovrei essere".

Curiosità: Billy Crystal ha avuto un'aliya al Bat Mizvà  di Tiffany e onestamente non ce e faremo mai una ragione. 

 

4. The color of Water: l'omaggio di un uomo nero alla madre bianca, di James McBride

Pubblicato per la prima volta nel 1995, il libro di memorie di James McBride racconta la storia di sua madre, Ruchel Dwajra Zylaska (in seguito Rachel Deborah Shilsky, poi Ruth McBride Jordan). Ruth, figlia di un rabbino ortodosso, immigrò in America dalla Polonia e nel 1942, donna bianca, si convertì al cristianesimo e sposò il padre di James, Rev. Andrew Dennis McBride, un uomo di colore. Ruth e Dennis avrebbero avuto otto figli, incluso James; dopo la morte di Dennis, si risposò e ebbero quattro figli. The Color of Water è il tentativo di James di capire sua madre e come ha cresciuto 12 bambini neri; crescendo, le avrebbe chiesto da dove veniva, e lei rispondeva: "Dio mi ha fatto". Scrive di come sua madre ha mandato i suoi figli a scuola nei quartieri ebraici e come attraverso l'educazione "ci ha trasmesso la sua ebraicità". A proposito della sua identità ebraica James ha spiegato, "Sono orgoglioso della mia storia ebraica. Tecnicamente immagino che potresti dire che sono ebreo in quanto mia madre era ebrea ... ma si è convertita [al cristianesimo]. Quindi la domanda è da rivolgere ai teologi e per me è irrilevante. Mi alzo la mattina felice di vivere.”

Curiosità: James McBride suona il sassofono in modo professionale! 

 

5. Lovesong: diventare ebreo, di Julius Lester

Julius Lester è forse più noto per i suoi libri per bambini, ma il suo libro di memorie, Lovesong, non va assolutamente trascurato. Ma torniamo indietro: Lester è nato figlio di un ministro a St. Louis, nel Missouri nel 1939. Lester è cresciuto in gran parte a Kansas City, Kansas e Nashville, Tennessee. Durante il movimento per i diritti civili, fu coinvolto nel Comitato di coordinamento non violento degli studenti e nel movimento Black Power, e si esibì come cantante folk. Nel 1982, Lester si convertì all'ebraismo e prestò servizio come leader religioso laico della Sinagoga Beth El a St. Johnsbury, nel Vermont. Lovesong inizia con questo potente messaggio:

Dicembre 1982

Nell’inverno  del 1974, mentre ero in ritiro al monastero trappista di Spencer, Massachussets, uno dei monaci mi disse: “quando conosci il nome con cui  Dio ti conosce, saprai chi sei.” Ho cercato quel nome con la passione di chi cerca l’eterno amato. Ho chiamato me stesso Padre, Scrittore, Insegnante, ma Dio non ha risposto. 

Ora conosco il nome con cui Dio mi chiama, Io sono Yaakov Daniel ben Avraham v’Sarah. 

Sono diventato ciò che sono. Non sono più ingannato dal viso nero che mi guarda dallo specchio. 

Sono un ebreo.

Curiosità: Julius Lester odiava Hanukkah. 

 

6. Jokes My Father Never Taught Me: vita, amore e perdita con Richard Pryor, di Rain Pryor

Rain Pryor è un'attrice, scrittrice e comica di successo. Ah, è anche la figlia del leggendario comico Richard Pryor; l'attrice ebrea e ballerina Shelley Bonis era la seconda moglie di Pryor. Nel suo libro di memorie, Rain scrive tutto sulla sua infanzia divisa tra le famiglie e le case di suo padre e sua madre. Ecco una descrizione: “In questo memoriale intimo, straziante e spesso divertente, Rain parla della sua eredità divisa e delle forze che hanno modellato la sua infanzia selvaggiamente schizofrenica. A casa di suo padre, ha stretto un legame con la nonna di Richard, Mamma, una ex tenutaria di bordello che non si è mai stancata di ricordare a Rain di essere nera. Nella casa di sua madre e nella casa dei nonni ebrei, Rain era una "principessa ebrea color moka", che imparava a cucinare di tutto, dal kugel al petto di manzo". È un libro disordinato, amorevole e crudo.

Rain esplora anche la sua identità di ebrea nera nella sua mostra personale Pollo fritto e Latkes, parlando del razzismo negli anni '60 e '70, poiché è stata allevata principalmente dai suoi nonni ebrei bianchi. Come spiega, "Pollo fritto  e Latkes deriva dal mio essere nata da un padre iconico, Richard Pryor, e un'attivista sociale / madre ebrea, Shelley Bonis, che credeva che la mia nascita avrebbe cambiato l'America".

Curiosità: Rain è anche un cantante jazz / blues. 

 

7. Soul to Soul: una donna ebrea russa nera cerca le sue radici, di Yelena Khanga con Susan Jacoby

Una straordinaria storia familiare è  descritta nel dettaglio in Soul to Soul. Il bisnonno di Yelena Khanga, Hilliard Golden, è nato schiavo. Suo nonno, Oliver Golden, studiò agronomia al Tuskegee Institute e prestò servizio nell'esercito durante la prima guerra mondiale. Dopo il suo ritorno a casa, non riuscì a trovare un lavoro e finì per unirsi al Partito Comunista. Arrestato durante una manifestazione sindacale, incontrò lacollega manifestante Bertha Bialek, una donna ebrea nata a Varsavia. Oliver e Bertha si sposarono presto. Nel 1931, lasciarono New York City per l'Unione Sovietica, dove ebbero una figlia, Lily. Lily Golden è cresciuta in Unione Sovietica ed è diventata la prima studentessa nera all'Università Statale di Mosca, e ha continuato a insegnare all'African Institute di Mosca. Lily ha sposato Abdullah Khanga, un politico di Zanzibar, e hanno avuto una figlia, Yelena. Alcuni mesi dopo la nascita di Yelena, Abduallah tornò a Zanzibar nel 1962. Fu giustiziato nel 1969. Yelena è cresciuta con tre generazioni di donne che vivono nella stessa casa: Bertha, Lily e se stessa. "Cronaca di tre generazioni di orgoglio razziale ed etnico, Khanga rivolge un occhio critico al razzismo, al femminismo, al comunismo e alla democrazia ed esamina queste idee e istituzioni in relazione alle sue esperienze negli Stati Uniti e all'estero", scrive Kirkus Reviews.

Curiosità: dopo che Yelena Khanga ha pubblicato il suo libro di memorie, sua madre, Lily Golden, ha anche scritto un libro di memorie chiamato My Long Journey Home. 

 

Narrativa

8. Ariel Samson: rabbino freelance, di MaNishtana

Il rabbino ortodosso Shais Rishon scrive sotto il nome di MaNishtana e Ariel Samson è il suo romanzo semi-autobiografico. Ariel è un rabbino nero di 20 e passa anni che naviga nella vita e nel lavoro nella comunità ebraica di New York. Come spiega JTA, “molte delle esperienze razziste che Ariel affronta nella comunità ebraica sono basate sulla propria vita o su storie raccontate da altri ebrei di colore. Un episodio, in cui Ariel affronta un deputato ortodosso di New York che a Purim aveva indossato un “blackface” (travestimento da nero, dipingendosi il viso, ndt) , è la trascrizione fedele di una conversazione che Rishon ebbe con un vero politico locale."

Rishon è cresciuto in una famiglia ebrea nera nel movimento Chabad a Brooklyn - anche se non si identifica più con Chabad, proprio come ortodosso, ed è un vigoroso scrittore ed educatore. "Sono un autore afroamericano, sì, e un autore ebraico-americano, sì, entrambi. Far entrare l'ebreo  di colore nella finzione americana ebraica." Diamine, sì.

Curiosità: il twitter di Rabbi Rishon, @MaNishtana, è sorprendente. Se siete su Twitter, seguitelo. 

 

9. Small Island, di Andrea Levy

Small Island di Andrea Levy racconta la storia di quattro immigrati giamaicani nel 1948 in Inghilterra. Il romanzo è stato adattato in uno spettacolo della BBC nel 2009 e per il teatro nell'aprile 2019. Levy stessa, nata a Londra da genitori giamaicani, si concentra sull'identità giamaicana britannica nel suo lavoro.

Il nonno di Levy era un ebreo ortodosso che in seguito si convertì al cristianesimo dopo la prima guerra mondiale. Tuttavia, Levy rivendica la sua eredità ebraica. Come ha detto a Haaretz nel 2006, "Non conosco quella parte della mia famiglia e ora sto disperatamente cercando di andare oltre mio nonno, in quella linea ebraica, ma finora non ho avuto molta fortuna. Adoro avere questi meravigliosi livelli di identità, penso che vengano dalla Giamaica, che ha così tante persone diverse da luoghi diversi. Penso di avere ogni singola persona che sia mai vissuta in Giamaica in giro per i miei geni da qualche parte. ”

Curiosità: l'altro famoso romanzo di Levy, The Long Song, è stato nominato per il Man Booker Prize nel 2010. 

 

10. PeaceSong DC, di Carolivia Herron

Sottotitolato "A Jewish Africana Academia Epic Tale of Washington City", PeaceSong DC è una lettura assolutamente straordinaria. “Shirah Shulamit Ojero ha quattro amori: la sua cultura afroamericana, la sua eredità ebraica, studi accademici - in particolare lo studio delle epopee letterarie - e la sua città, Washington, DC. Peacesong DC mostra l'interconnessione di questi quattro amori mentre Shirah cresce ”, spiega la descrizione del libro. "Sebbene tutte le storie raccontate in Peacesong DC siano basate su eventi reali nella vita dell'autore, il libro è classificato come fiction piuttosto che non-fiction perché le storie si piegano verso l'arco della narrazione piuttosto che a quello dei fatti rigidi."

Herron, lei stessa nata a Washington nel 1947, si convertì all'ebraismo all'età di 47 anni. Spiegò: “Quando mia madre, che in origine era stata meno entusiasta, mi vide in sinagoga con la Torà, mi disse: 'Sei stata ebrea tutto la tua vita. Semplicemente non lo sapevo.’” Nel ricercare la sua storia familiare, ha scoperto che era discendente di Sarah Shulamit, un'ebrea sefardita.

Curiosità: Carolivia Herron è in realtà conosciuta soprattutto per i suoi libri per bambini, come Nappy Hair e Always an Olivia. 

 

11. Lucy, di Jamaica Kincaid

Il collaboratore di Alma Nylah Burton scrive di Lucy in "Nove libri da leggere di ebrei di colore": "Kincaid si convertì all'ebraismo nel 1993, dopo oltre un decennio di matrimonio con il compositore ebreo Allen Shawn. Intervistata da Tablet Magazine a proposito della sua decisione di convertirsi, Kincaid ha raccontato che un rabbino le aveva detto che lei e i suoi figli non sarebbero stati seppelliti nello stesso cimitero se non lo avesse fatto. Kincaid ricorda di aver pensato: ‘E se ci fosse un paradiso ebraico e io sono nell'altro paradiso e dovessi inviare loro delle lettere?’ Non potevo sopportare di separarmi da loro. Dopo il divorzio, quando la gente chiese a Kincaid se sarebbe tornata al cristianesimo, pensava che fosse ridicolo, dicendo: ‘La gente mi chiede se sono ancora ebrea, e mi chiedo: pensate forse che l'ebraismo sia una gonna alla moda?’"

Il lavoro di Kincaid potrebbe non essere esplicitamente ebraico, ma è saldamente radicato in un'esperienza con cui molti ebrei caraibici di colore possono identificarsi. Temi di eredità coloniali, complicate relazioni familiari, razzismo e increspature di classe emergono dai suoi scritti. Ci sono così tanti libri di Kincaid da leggere e ne valgono tutti la pena, ma suggerirei di iniziare con Lucy, una storia di una ragazza delle Indie occidentali che lascia la sua casa per lavorare per una famiglia bianca. La storia è vagamente autobiografica, rispecchia le esperienze di Kincaid".

Curiosità: questo non è un aneddoto divertente, ma solo la mia citazione preferita di Jamaica Kincaid: "L'inevitabile non è meno scioccante solo perché è inevitabile". 

 

12. Deacon King Kong di James McBride

McBride è qui due volte, scusa non scusa!!! Prenderò semplicemente il testo della recensione di Junot Díaz nella recensione del New York Times: "Deacon King Kong è molte cose: un romanzo giallo, un romanzo poliziesco, una farsa urbana, un ritratto di una comunità di progetto. C'è anche un po' di western. Il romanzo è, in altre parole, tanta roba. Fortunatamente, è anche profondamente sentito, magnificamente scritto e profondamente umano; La capacità di McBride di abitare l'interiorità traballante e fin troppo umana dei suoi personaggi aiuta a trasformare un bel libro in uno fantastico. Ha scritto meravigliosamente prima, nel suo amato libro di memorie, Il colore dell'acqua e, con terrificante irriverenza, nel suo romanzo vincitore del National Book Award, The Good Lord Bird. Ma Deacon King Kong si legge come se avesse toccato un nuovo filone di ispirazione e verve. È chiaro che si sta divertendo molto e il suo spirito di irriverenza funeraria sovralimenta l'intera narrazione come un lampo nero prodotto in casa. "

Curiosità n. 2: ha scritto due film, Miracolo a Sant’Anna (2008) e Red Hook Summer (2012). 

 

13. Easy Rawlins,  Serie di Walter Ellis Mosley

Walter Mosley, uno scrittore ebreo nero di gialli, è forse più noto per la sua serie "Easy Rawlins". Easy è un detective privato nero a Watts, Los Angeles. Easy è l'argomento del suo primo libro pubblicato - e il primo della serie - Devil in a Blue Dress (curiosità: trasformato in un film nel 1995 con il fenomenale Denzel Washington). Ora ci sono 14 romanzi, oltre a una raccolta di racconti, interpretato da Easy Rawlins.

Cosa significa essere ebrei? Mosley spiega: "In un certo senso, essere ebreo è far parte di una tribù", ha detto. “Facendo parte di una tribù, non puoi mai davvero sfuggire alla tua identità. Puoi essere qualsiasi cosa dentro, ma alla fine sei sempre responsabile del tuo sangue".

Curiosità: la sua pagina su Wikipedia afferma che "ha iniziato a scrivere a 34 anni e da allora scrive ogni giorno”.

 

14. Sophie Katz Misteries, di Kyra Davis

Kyra Davis è cresciuta a Santa Clara, in California, cresciuta da una mamma ebrea single. Ha tradotto la sua stessa educazione come donna ebrea nera nella sua deliziosa eroina, Sophie Katz, che è una scrittrice ebrea nera di gialli e un criminale dilettante. Ha iniziato a scrivere mentre stava affrontando il proprio divorzio, dicendo: "la mia vita stava crollando e volevo perdermi in un mondo immaginario". Ora ci sono sette (!!) misteri di Sophie Katz, e ognuno è altrettanto divertente e coinvolgente come l'ultimo.

Curiosità: "Occasionalmente, quando le persone mi chiedono da dove vengo, mi inventerò un paese in Africa e mi mostrerò offesa se affermano di non averne mai sentito parlare", ha scherzato Davis. 

 

Letteratura per giovani adulti

15. Color Me In, di Natasha Díaz

Il romanzo di Natasha Díaz, debutto in YA, Color Me In, immagina la sua infanzia e racconta la storia della maturità di Navaeh Levitz. Navaeh è un'adolescente ebrea nera il cui padre la costringe a celebrare avere un Bat Mizvà in ritardo, all'età di 16 anni. I genitori di Navaeh sono nel bel mezzo di un divorzio e il Bat Mizvà è il modo in cui suo padre riesce a rimanere in contatto con la sua famiglia ebrea. Nel frattempo, Navaeh sta lottando per capire la sua identità, la sua relazione con la sua oscurità, il suo privilegio, una relazione fiorente ed entrambi i lati della sua famiglia. È una lettura avvincente e attuale, radicata nelle esperienze vissute di Díaz; Díaz ha un padre ebreo bianco e una mamma non ebrea liberiana e brasiliana.

Quando ho chiacchierato con Nataha per Alma l'anno scorso, mi ha detto: "Spero che chiunque lo legga, che si sia sentito alterato o che non si sia sentito a proprio agio con se stesso per qualunque motivo, o che altre persone non li accettino per chi sono, sappiano che hanno il diritto [e] l'orgoglio di essere chi sono e non c'è nulla di sbagliato nel prenderne possesso".

Curiosità: quando Natasha aveva 9 anni, lei e sua madre sono state da Oprah per parlare dell'esperienza di essere una famiglia multirazziale. Quando Oprah le fece una domanda, la giovane Natasha si bloccò.

 

Saggistica

16. Bulletproof Diva: storie di razza, sesso e capelli, di Lisa Jones

Lisa Jones è la figlia dei poeti Hettie Jones e Amiri Baraka (noto come LeRoi Jones). Jones (nata Cohen), scrittrice ebrea e Baraka, scrittore nazionalista nero, avevano due figli, Kellie e Lisa. Lisa ricorda, "Sono cresciuta pensando di far parte di una famiglia americana molto sana e mi ha sempre stupito quando le persone rispondono come se fosse una stranezza." Bulletproof Diva è una raccolta di saggi, tutti originariamente pubblicati su Village Voice come parte della sua rubrica "Skin Trade". "Tutto quello che so della storia americana l’ho imparato guardando i capelli delle persone di colore. È la metafora perfetta dell'esperimento africano qui: il prezzo del biglietto (per un viaggio che nessuno ha scelto di fare), il pedaggio della schiavitù e i costi di permanenza. È tutto nei capelli", scrive Jones.

Curiosità: Lisa non è solo un'abile saggista, ma è anche una drammaturga e ha scritto tre libri con Spike Lee! 

 

Libri di Cucina

17. The Cooking Gene: Un viaggio attraversola stria della cucina african-americana nel veccio sud, di Michael Twitty 

Michael Twitty è uno scrittore ebreo nero, storico della cucina ed educatore. Nel 2010, ha iniziato a scrivere sul blog Afroculinaria, un blog di storia della cucina, e nel 2011 ha iniziato un progetto chiamato "Cooking Gene" che alla fine è diventato questo straordinario libro. Come scrive il nostro sito gemello The Nosher, Twitty “potrebbe essere l'unica persona in questo momento in grado di scrivere un libro del genere: Probabilmente l'unico cuoco nero, ebreo e gay del mondo, questo 'yid di un colore diverso' (parole sue) ha resistito a qualsiasi tentativo di classificare il suo lavoro in bocconi facilmente digeribili. Al contrario, continua a creare un ricco rifacimento di idee complesse che sfidano ed espandono i confini delle nostre tradizioni - e dei nostri palati". The Cooking Gene ha vinto il James Beard Award 2018 per la migliore sceneggiatura e libro dell'anno; ci porta attraverso il cibo meridionale e la cultura alimentare dall'Africa all'America.

Curiosità: il suo cibo ebraico preferito è il kasha varnishkes. Perché? "Penso che a volte le persone non si prendano il tempo necessario per gustare con questi piatti classici ashkenaziti in mezzo alla strada. Devi usare erbe fresche e vero schmaltz, sto parlando di globuli di grasso di pollo lì dentro. Quando lo fai, diventano davvero fantastici. Mi fa cantare il cuore.”

 

18. Do What Feels Good: ricette, rimedi e routine per curare il tuo corpo nel modo giusto di Hannah Bronfman

 

Hannah Bronfman è una donna dai molti talenti - DJ, imprenditrice, fondatrice di HBFIT, influencer e scrittrice - e il suo primo libro, Do What Feels Good, comprende tutto ciò. È in parte un libro di cucina, in parte una serie di istruzioni per il benessere e in parte un libro di memorie. Hannah interviene spesso nel dibattito pubblico affinché le donne nere creino il loro spazio in un mondo del benessere prevalentemente bianco e nel rendere il benessere accessibile a tutti. In Do What Feels Good, racconta concretamente  suo viaggio personale verso la salute e l’alimentazione corretta.

"Sono cresciuta a New York da un'importante famiglia ebrea, con una madre nera molto forte che è cresciuta durante la segregazione, nella parte sud di Chicago, da una famiglia della classe media", mi ha detto Bronfman l'anno scorso, "sin da giovane, ero molto consapevole di entrambi questi aspetti di me. Può essere difficile provenire da una famiglia mista, specialmente negli anni '90 e 2000 -ovviamente lo è anche oggi - ma da ragazza, quando tenti di capire la tua identità può essere molto più complicato che per gli altri ... "Lei si allontana, aggiungendo immediatamente," Non direi che è stato difficile, ma non direi  neanche che sia stato facile."

Curiosità:  seguire Hannah su Instagram di Hannah  è meraviglioso. 

 

Poesia

19. Yarmulkes & Fitted Caps, di Aaron Levy Samuels

 

Aaron Levy Samuels è cofondatore e direttore operativo di Blavity, una comunità digitale per i millennial neri. Samuels è cresciuto a Providence, nel Rhode Island da una madre ebrea bianca e un padre non ebreo nero, e le sue poesie spesso si tuffano nella sua identità. Una poesia, "Which Keeps Me (blackjewish)", è incredibilmente sorprendente. Inizia così:

Il nero è la macchia su di  me che tutti trovano più facile

ignorare. Anche con il mio essere ebreo è così. L'acqua ciò che mi trattiene

qui; non sono sicuro s sia una buona cosa. Quando dico corda,

intendo ciò che si avvolge e si dispiega.

Curiosità: sì, sa di condividere il nome con il famoso Aaron Samuels di Mean Girls (2004) 

 

20. Butterflies in Fields of Corn,  della Dr. Tarece Johnson

La dott. Tarece Johnson è una femminista, autrice, attivista, abolizionista e molto altro. È leader nel suo NAACP locale ad Atlanta, in Georgia, Alliance for Black Lives e March on Georgia. E poi, sì, scrive poesie; Butterflies in Fields of Corn è il suo primo libro. Ma non si è fermata qui; non vedendo riflesse le proprie esperienze nel tradizionale libro di preghiere ebraico, decise di scriverne una sua. Ha scritto una Haggadà, e Ahava, un libro di poesie, meditazioni e affermazioni per ebrei neri.

“Quando ho preso la decisione consapevole di convertirmi all’ebraismo e mentre cercavo modi per connettermi con il mio nuovo stile di vita ebraico, avevo bisogno di fonti che rispecchiassero le mie scelte ed esperienze personali. Nella liturgia tradizionale, non ho trovato libri di meditazione per Shabbat incentrati sulla conversione, sulla giustizia sociale e sull'esperienza della donna ebrea nera. Così ho fatto ciò che sempre le donne ebree hanno fatto attraverso le generazioni: ho scritto un libro di preghiere e meditazioni, chiamato Ahava”, ha spiegato. 

Cosa non può fare la dottoressa Tarece!?

 Curiosità: la dottoressa Tarece ha un TikTok (@ dr.tarece) ed è fantastico. DAVVERO INCREDIBILE. 

 

Traduzione dall’inglese di Eva Mangialajo Rantzer

Revisione di Valerio Filoso

La Meditazione Ebraica, un viaggio dentro di sé: intervista a Sergio Daniele Donati

23/01/2020 05:26:20 PM

Jan23

Valentina Miriam Uberti

Si sente spesso parlare di meditazione, tu Sergio proponi un corso di meditazione ebraica; vorrei sapere quale è il punto in comune con le meditazioni più conosciute e le differenze con esse? Vorrei che tu portassi l'attenzione sul termine “ebraica”.


Diciamo che ci sono tantissimi punti in comune con le meditazioni orientali, per esempio la sacralità del corpo, la ricerca di una postura degna, eretta, l’intenzione; come pure la gestione del tempo, delle pause. Sono tutti aspetti abbastanza vicini. La meditazione ebraica ha un elemento teistico che in altre meditazioni non si trova. Ad esempio in quella buddista il problema di D-o non si pone, vengono poste delle questioni di prassi etica e aspetti psicologici, ecco, in questo si può trovare una differenza sostanziale. La meditazione ebraica ha come finalità la creazione di un terreno fertile all’elevazione dell’animo per arrivare a un contatto diretto con HaShem, alla percezione di HaShem. Tutte le altre meditazioni nella tipologia sono molto simili, come la ripetizione di mantra; in quella ebraica i “mantra” non sono gli stessi: vengono ripetuti piccoli brani della Torà, e la finalità è sempre di natura teistica; proprio di poter percepire il creato e il creatore con la meditazione. Si vanno a cercare queste presenze sottili.

 

La meditazione ebraica ha una sua tradizione o è un approccio nuovo in base alle esigenze contemporanee che puntano al benessere?


La meditazione ebraica è antichissima, nasce insieme all’ebraismo, quasi contemporaneamente al pensiero ebraico. Aryeh Kaplan è stato colui che ha ricercato le forme della meditazione ebraica delle varie scuole per poi scriverne un libro e così facendo l’ha resa una tradizione non più soltanto orale. Kaplan ne fa risalire l’esperienza già ai tempi dei profeti, quindi molto antica, ma allo stesso tempo è rimasta nascosta perché c’è stata l’esigenza di compattare il popolo intorno a un culto comune, mentre la meditazione era più una pratica che passava dal maestro agli allievi. Per Kaplan era già in uso presso i profeti e le loro rivelazioni sono frutto dell’appartenenza a così dette “scuole profetiche” nelle quali si insegnavano al corpo e alla mente esercizi meditativi per poter arrivare allo stato cui accennavo prima, ossia la percezione di questa voce, del legame con HaShem. Ecco, la meditazione ebraica non ha legami con le discipline new-age, è autenticamente tradizionale; poco conosciuta perché trasmessa oralmente, ora in maniera più diffusa, ma in realtà è davvero una pratica millenaria.

 

Qualche libro di Kaplan che potresti suggerire?

Allora, qualche titolo: sicuramente Aryeh Kaplan “Meditazione ebraica”, edito in italiano, poi “Meditation e Kabbalah” mentre il terzo è “Meditation and the Bible”.

Però tutta la sua bibliografia è molto importante. Pensa che è mancato prima dei cinquant’anni ed era considerato un genio, perché ha rivelato a molti ebrei che non le conoscevano, se non quelli molto ortodossi, l’esistenza di queste tecniche antichissime.

 

Quindi, mi sembra di capire che la meditazione orientale, o tutte le meditazioni, sono associate al benessere, ma in questo caso c’è un’attenzione al lato spirituale.


Il benessere in realtà non è l'obiettivo di alcuna meditazione, l’arrivo del benessere mentale è un effetto della meditazione. L'obiettivo della meditazione, se vogliamo trovarne uno, è la consapevolezza, la consapevolezza che permette di conoscere se stessi e il mondo che ci circonda nei suoi meccanismi; ovviamente, essendo una pratica anche corporea, ha dei risultati di benessere evidenti, però diciamo che sono più degli effetti collaterali, è ovvio che non si medita per stare male, però sono quelli la finalità; in una meditazione non legata alla new age, le finalità dovrebbero essere la consapevolezza e la presenza mentale, e il benessere è un effetto che si vede velocemente già dopo qualche mese. Ci siamo talmente tanto allontanati da quelle pratiche che durano tutta la vita, volendo a volte raggiungere dei risultati in tempi brevi, che se lo scopo del meditare diventa il benessere, in due mesi l’obiettivo è raggiunto. In realtà la meditazione è un cammino lungo, a volte è intenso, a volte va a toccare dei nodi che vanno sciolti lentamente, motivo per cui ci possono essere momenti di difficoltà. Ciò che viene chiamata meditazione consiste in realtà in tecniche di rilassamento che preparano alla meditazione.

Come dicevamo prima, il lato spirituale è presente in tutte, in alcune più teologico o teistico, in altre meno; è un cammino psicologico per la consapevolezza di se stessi.

 

A tale proposito, la meditazione ebraica è legata alle festività o è una tecnica sempre utilizzabile?


E’ molto legata ai rituali e alle festività, tieni conto che tutti i testi ebraici possono essere letti in chiave meditativa, c’é una lettura particolare del testo della Torà che permette sempre di avere una traccia meditativa, e ogni festività, ogni rito e ogni preghiera ha un legame strettissimo con la meditazione, tant’è che è possibile pregare meditando e meditare come se la meditazione fosse una preghiera; quindi il legame è molto forte. Sono due aspetti che definirei cugini antichissimi, che nascono insieme all’essere umano in tutte le culture e in tutte le tradizioni.

Si parla di meditazione dai nativi americani agli indù, dagli ebrei ai cristiani o ai musulmani, come ad esempio i sufi, e in ogni epoca. Già il fatto che esista una tradizione millenaria ci indica la serietà di quello che si sta facendo, e nei miei corsi lo ricordo sempre. La meditazione ebraica è una tradizione che non è iniziata con noi e non finirà con noi, ma noi siamo il tramite per cui questa pratica continuerà.

 

Bisogna avere delle conoscenze pregresse sulla lingua e la cultura ebraica, o le nozioni vengono apprese man mano durante il corso?


No, le nozioni vengono apprese man mano. Se si hanno già delle nozioni va bene, però io spiego sempre tutto prima, magari sarebbe utile conoscere un po’ l’alfabeto perché molto spesso si medita dinnanzi a delle lettere, guardandone la grafica, però non è essenziale. Anzi, tramite la meditazione, si può trovare un modo di avvicinarsi all’ebraismo.

 

Che ruolo ha il corpo e come viene coinvolto?

Il corpo ha un ruolo importante ma l’idea della postura, che si trova in certe meditazioni orientali, ne ha meno. Però nell’ebraismo il corpo è sacro, è il luogo, o meglio uno dei luoghi, in cui la sacralità e il legame con HaShem si manifestano. Non è solo una questione di pensiero perché in effetti viene coinvolto anche il corpo; il respiro è altrettanto importante, richiama il soffio della creazione. Diciamo che la postura o la posizione delle mani sono meno formalizzate a differenza della tradizione indiana. Si ritrova però anche nella meditazione ebraica l’idea del corpo come luogo di elevazione ed esso non è sottovalutato.

 

A chi più di tutti consiglieresti il tuo corso?

A tutti coloro che sono armati di curiosità, di umorismo, perché si ride anche tanto: c’è un aspetto serioso ma c’è anche l’aspetto del gioco. Dai 16, 17 anni in su... fino ai 120 a me va bene!

 

 

Sergio Daniele Donati è avvocato e vive a Milano, a Lev Chadash tiene da qualche anno un corso di meditazione ebraica che comprende teoria, esercizio e condivisione della pratica. Si diletta nella scrittura, non lesina battute in dialetto modenese e a volte sfoggia dei baffi portentosi.

 

Valentina Miriam Uberti vive a Bergamo, membro di Lev Chadash e della chavurà Har Sinai di Bergamo-Brescia per cui si occupa delle iniziative culturali, è laureata in filosofia e attualmente studia ... ancora filosofia con indirizzo analitico. La si può incontrare mentre sfreccia sui pattini nel centro di Bergamo.

Commemorazione a Meina

20/01/2020 04:47:53 PM

Jan20

Domenica 19 Gennaio 2020, come ogni anno all’interno delle celebrazioni del mese della memoria, si è tenuta la commemorazione delle vittime dell’eccidio di Meina, che ha visto trucidate 16 persone e come unica sopravvissuta la famiglia di Becky Behar, z’livraha.

(https://it.wikipedia.org/wiki/Olocausto_del_Lago_Maggiore)

(ph. Susanna Castelletti)

 

Dopo il ritrovo presso le pietre d’inciampo all’Imbarcadero e il saluto del sindaco e delle autorità, si è svolta la cerimonia, che è stata seguita dall’intervento del dott. Giovanni Cerutti, storico, saggista, direttore della Fondazione Marazza di Borgomanero e direttore Scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara (ISRN).

L’incontro ha anche accolto gli interventi dei giovani partecipanti al progetto ‘Promemoria Auschwitz’, un progetto creato dall’associazione Deina e che prepara e accompagna i ragazzi durante le visite della memoria ai campi di sterminio. Questo progetto è pensato per accompagnare le giovani generazioni alla scoperta e alla comprensione della complessità del reale, con l’obiettivo di aumentarne e svilupparne lo spirito critico, necessario per leggere la storia e il presente con adeguata contezza. 

Guardare alla storia delle persecuzioni e degli stermini della seconda guerra mondiale significa infatti costruire la consapevolezza che i processi che ne furono alla base sono parte di un passato comune, così come lo sono le conseguenze sociali, politiche, culturali che quella storia ha portato.’ (Associazione Deina)

Lev Chadash ringrazia gli organizzatori e tutti i partecipanti che sono intervenuti

Dopo il furto L'Abilità riparte...

17/01/2020 01:12:47 PM

Jan17

L’Abilità, l’Associazione che si occupa di bambini con disabilità grave con cui abbiamo collaborato nei nostri Mitzvah Days, durante le ultime vacanze ha subito un furto di apparecchiature indispensabili per svolgere le attività con i piccoli.

Oggi parte una campagna di fundraising per aiutarli, se potete donate, se non potete diffondete la campagna.

Ogni contributo è benvenuto, grazie a tutti!

>>> DONA ORA    

Aspettando Chanukkà...

15/12/2019 12:14:19 PM

Dec15

Sabato 14 Dicembre 2019 a Lev Chadash c'è stato un bel momento insieme!

Le bambine e i bambini, sempre più numerosi, hanno disegnato e decorato le loro Chanukkiot e hanno decorato le sufganyot!  

E poi merenda collettiva di adulti e bambini!

 

Grazie a tutti quelli che hanno partecipato e un ringraziamento speciale a Adi, Vered e Sarah Laura, che hanno partecipato all'organizzazione e hanno reso possibili momenti così belli!

Dvar Torà Parashat Toledot

29/11/2019 03:25:33 PM

Nov29

Eleanor Davis – Student Rabbi al Leo Baeck College

La scorsa settimana, è accaduto un miracolo sulla linea Northern Line da Edgware. Era un miracolo piccolo e ordinario, ma comunque un miracolo - in parte realizzato grazie al potere del Baby Shark (una canzone popolare particolarmente accattivante per bambini!).

Nell'arco di due, forse tre, fermate di metropolitana – e durante l'esecuzione del Baby Shark, fino al punto in cui si narra di nonna Squalo - tre bambini di circa quattro anni sono passati da completi estranei a cantare e ridere insieme. Cantavano, si agitavano sui sedili e conoscevano assolutamente tutti i gesti delle mani. Tre bambini ridevano per pura felicità, non per uno scherzo specifico; hanno reso una carrozza della metropolitana piovosa un posto più felice, anche solo per alcuni momenti.

Potrebbe anche essere stato l'inizio di una bella storia d'amore - basata su alcuni di quegli sguardi - ma non è stato questo il miracolo. Il vero miracolo è stato che il suono delle risate dei bambini ha fatto sì che diversi adulti, pendolari scontrosi, sollevassero lo sguardo dai loro telefoni e sorridessero...

Quando si parla di risate nella Torà, c'è una profonda ironia nel fatto che l'uomo il cui nome significa "riderà" in realtà ha avuto pochissime occasioni per ridere nella sua vita. Nella Parashat Toldot vediamo che Isacco è sopravvissuto all'essere quasi sacrificato da suo padre, ha poi affrontato la sterilità, seguita dalla faida dei figli e dalla sua stessa cecità. Non c'è molto da ridere.

Nel mezzo della parashà, tuttavia, c'è un breve momento di sollievo. Come suo padre prima di lui, Isacco tenta di far passare Rebecca come sua sorella, in modo che altri uomini non lo uccidano per possedere la sua bellissima moglie. A differenza di suo padre, lo stratagemma di Isacco è smascherato non attraverso un intervento divino, ma attraverso il suo comportamento - ed è un comportamento adorabile. Genesi 26: 8 dice che Avimelech, re dei Filistei, guardò fuori dalla finestra e vide Yitzchak m’tzachek et Rivka ishto - Isacco che giocava o rideva con Rebecca. È l'intimità dei loro scherzi che li tradisce agli occhi di Avimelech, ma è quel momento inaspettato di felicità che può farci fermare a riflettere.

C'è vera bellezza nel fatto che quando Isacco ha finalmente la sua possibilità di ridere - quando ormai sta diventando vecchio – lo faccia con sua moglie, moglie da diversi decenni. Immaginando una relazione allegra e giocosa tra Isacco e Rebecca, forse possiamo avere un senso leggermente diverso di questo patriarca spesso trascurato. Possiamo immaginare una coppia che si aiuta a vicenda nei momenti difficili - lutto, sterilità, lotta fra i propri figli - ma mantiene anche la capacità di darsi gioia a vicenda. Condividere il senso dell'umorismo, avere qualcuno con cui ridere delle assurdità della vita e ridere per la pura gioia del momento: queste sono ottime qualità in un compagno.

Anche se i bei tempi sono molto più rari dei tempi difficili, sembra che mantengano la capacità di abbracciare quei momenti e abbracciarsi l'un l'altro. L'esempio di Rebecca e Isacco potrebbe suggerire che la gioia e le risate non devono necessariamente essere un tradimento, una negazione dei nostri problemi e dolori fin troppo reali. Il nostro dolore non è meno reale per la nostra capacità umana di provare momenti di felicità e connessione. Ricordiamo tutti la rottura del bicchiere ai matrimoni ebraici, che aggiunge un tocco di dolore in un'occasione gioiosa; potremmo aver bisogno di ricordare i tempi in cui abbiamo riso nel lutto durante una shivà, quando solo per un momento, abbiamo conosciuto un tocco di gioia tra le nostre lacrime.

La vita di Isacco fu segnata dalla tragedia e assediata dalle difficoltà. Le nostre vite sono raramente facili e aprire un giornale o un feed di notizie può farci sentire ogni giorno come se anche la nostra vita fosse priva di motivi per poter ridere. Eppure, senza ricorrere a un tormentone come Baby Shark, o anche a quello se ci piace, forse possiamo trovare momenti in cui, come Isacco, possiamo avere la nostra occasione per ridere. Mentre entriamo nel mese di Kislev, che ognuno di noi possa affrontare le notti più lunghe dell'anno - e anche le fredde giornate invernali - con qualcuno con cui ridere. Che ognuno possa rimanere aperto alla possibilità di lampi di luce nei nostri tempi di oscurità. Che ognuno possa vivere per conoscere momenti in cui ci sono solo sprazzi di tristezza tra le nostre risate. Hodesh tov!

 

traduzione di Martina Loreggian, studentessa rabbinica al Leo Baeck College

MITZVAH DAY 2019 a l'ABILITÀ

17/11/2019 06:00:00 PM

Nov17

Domenica 17 novembre 2019 si è svolto il 3° Mitzvah Day di Lev Chadash: i volontari di Lev Chadash sono tornati alla Casa di L'Abilità per imbiancare la restante parte della Sala Giochi, terminando il lavoro iniziato a Giugno.

Come sempre è stata una bella giornata, uno scambio che arricchisce tutti di grande energia e positività e un lavoro di gruppo che unisce e ci permette di conoscerci meglio.

Motto dell'Associazione L'Abilità è "con la disabilità non si scherza: si gioca".

La Casa di L’Abilità è una comunità residenziale unica a Milano che accoglie a bambini con disabilità complessa che necessitano di un’accoglienza residenziale stabile o temporanea.
La casa accoglie fino a 10 bambini, dalla più tenera età fino ai 12 anni. Tutto il lavoro è mirato a favorire la crescita del bambino con disabilità, consentendo il più possibile la sua inclusione nella società e a scuola.

 

A L'Abilità tutte le attività vengono progettate, ideate e strutturate con l'obiettivo di creare occasioni di benessere per il bambino con disabilità e fare in modo che possa vivere una vita il più piena possibile, agire la libertà di scelta e partecipare alla vita della comunità.


Puoi partecipare anche tu ai prossimi Mitzvah Day, sei il/la benvenuto/a! 

Chi vuole unirsi può scrivere a info@levchadash.it

Commissione straordinaria contro l’odio, il razzismo e l’antisemitismo

31/10/2019 07:25:27 PM

Oct31

L’Associazione per l’Ebraismo Progressivo – Sinagoga Lev Chadash esprime soddisfazione per il varo da parte del Senato della Commissione straordinaria contro l’odio, il razzismo e l’antisemitismo e ringrazia la senatrice a vita Liliana Segre, promotrice della mozione che l’ha reso possibile. Contemporaneamente esprime sconcerto per la decisione di 98 senatori di astenersi al momento del voto, non rendendo così possibile inviare un forte segnale di unità su valori fondamentali del vivere collettivo e democratico.

Associazione per l’Ebraismo Progressivo

Lev Chadash

RAV SYLVIA ROTHSCHILD su Moked.it

28/10/2019 03:51:49 AM

Oct28

'Italy and her Jews', di Rav Sylvia Rothschild, Giugno 2019

pubblicato sul numero di ottobre 2019 di Moked.it con il titolo 'Differenze'

 

>>> leggi l'articolo su Moked (da pag. 20 in basso)

>>> English version below

 

Ho letto con interesse il dibattito sulla via da seguire per l'ebraismo italiano e, anche se ci sono più questioni da prendere in considerazione, vorrei soffermarmi sui commenti che mi sembrano più importanti per gli ebrei d'Italia.

Rav Punturello ritrae l'immagine di un mondo ebraico formato da isole separate, prive di una ampia visione che prospetti un vivace futuro ebraico. È, come lui stesso dice, angosciante, soprattutto se si considera la lunga, ricca e dinamica storia dell'ebraismo italiano.

La risposta di Rav Sciunnach dipinge un quadro altrettanto angosciante di comunità troppo piccole e troppo moribonde per vivere vite completamente ebraiche, dove la mancanza di strutture per la tefillà e studio, forniture kasher e mikvè, costituiscono per lui "deserti ebraici" e afferma che, quindi, non essendoci strutture di supporto per le persone che desiderano unirsi alla comunità attraverso la conversione, a suo avviso la conversione non può avvenire.

Non voglio discutere qui questi punti di vista, anche se sono certamente meritevoli di ulteriori verifiche, non posso però permettere che i commenti di Rav Sciunnach sull’Ebraismo Riformato rimangano senza replica.

Cominciamo dal suo commento che "ciò che conta ed è essenziale, è il  servizio da tributarsi a Dio onnipotente …... sancendo ciò con l'osservanza delle mitzvot, l'attaccamento al Popolo Ebraico e a Dio, tefillah, osservanza dello Shabbat e della Kasherut, studio della Torah. Questi sono i pilastri richiesti";  sono sostanzialmente d’accordo: la conversione attraverso i movimenti della Riforma si aspetterebbe certamente che questi "pilastri" fossero messi in atto, anche se, probabilmente, avremmo un'opinione diversa su come esattamente questi pilastri sono definiti e su come possono essere legittimamente espressi. Dato che pochissimi tra i nati ebrei sono shomrei mitzvot e osservano invece le proprie mitzvot per abitudine o tradizione o perché trovano significato o conforto nell'osservanza, sembra strano esigere dal nuovo arrivato qualcosa che la comunità generalmente ignora. Tuttavia incoraggiamo l'osservanza delle mitzvot come parte del processo di conversione, al fine di rafforzare l'identità e sviluppare le competenze ebraiche. L'attaccamento al popolo ebraico, entrando a far parte della comunità e del più ampio mondo ebraico, la preghiera, lo Shabbat, lo studio della Torà, la pratica quotidiana ebraica così come la kasherut sono tutti elementi che vengono esplorati e sviluppati nella conversione attraverso il nostro Beit Din. La differenza è principalmente l'accoglienza al cancello, per così dire, e l'aspettativa che, in quanto esseri autonomi, degli adulti esplorino questi "pilastri" e si stabiliscano nella propria legittima identità ebraica e nel proprio modo di essere guidati e supportati tramite un processo di apprendimento e azione, piuttosto che attraverso imperativi didattici.

Sappiamo che in origine la conversione non era difficile, anzi, Hillel notoriamente ha convertito sul momento un uomo con le parole: "Ciò che è odioso per te non farlo agli altri, questa è l'intera Torà e il resto è interpretazione. Va’ e studia". (Shabbat 31a). È interessante notare che ciò che l'ebreo appena convertito dovrebbe studiare sono le mitzvot bein adam le'chaverò, quei comportamenti inerenti ai rapporti tra le persone (derivati ​​dalla prima parte delle istruzioni di Hillel), mentre le mitzvot bein Adam laMakom, ovvero la relazione tra l'individuo e Dio, sono per un momento successivo e meno immediatamente rilevanti. La stessa sugya ci dice che i convertiti presenti in queste narrazioni si sono uniti e hanno detto "L'impazienza di Shammai ha cercato di allontanarci dal mondo, la pazienza di Hillel ci ha portato sotto le ali della Shechinà".

Sappiamo che in Italia sono molte le persone ad essere "Zera Yisrael", persone di origine ebraica che vogliono disperatamente rivendicare le loro radici e identità ebraiche, così come le persone in ricerca spirituale e religiosa. Sappiamo che molti ebrei italiani si sposano al di fuori della loro religione e cercano un modo per tenere i loro figli al suo interno. È importante che ogni corrente dell’ebraismo affronti questi problemi, piuttosto che dire semplicemente "non può essere fatto".

Rav Sciunnach continua il suo discorso con una visione molto incerta del mondo progressivo ebraico. Proprio come ogni parte del mondo ebraico, che sia Sefardita, Haredi, Chassidico, "ortodosso" o modern orthodox, il mondo ebraico progressivo è un organismo ricco e complesso, con molti modi di esprimersi. L’ebraismo progressivo in Europa è marcatamente diverso da quello degli Stati Uniti, e ciascuno di essi è diverso da come viene espresso in Israele. Quindi, per esempio, il principio patrilineare (o meglio “equilineale”) è principalmente un fenomeno americano, in parte a causa di quel contesto, in cui l’Ebraismo Riformato costituisce la corrente maggioritaria. Ma voglio spiegare perché la sua affermazione che molti ebrei nel movimento di riforma non sarebbero ebrei è semplicemente errata. Il principio è che un figlio di un genitore ebreo (non importa quale) nasce con il safek (dubbio) del suo stato ebraico, in quanto l'educazione e l'identità sono viste come più potenti della semplice biologia del nascere da un grembo di donna ebrea. Quel safek viene rimosso quando il bambino, essendo cresciuto in una casa dove si pratica esclusivamente l’ebraismo (e nessun'altra religione), avendo fatto parte della comunità ebraica e studiato formalmente l’ebraismo fino all'adolescenza, si impegna formalmente al proprio pieno status ebraico di bar / bat mitzvà, inteso come il momento della piena conversione. Ciò richiede un grande impegno da parte della famiglia, con una grande richiesta in termini di tempo e abitudini nel corso di molti anni. Il principio di patrilinearità / equilinearità è una risposta premurosa alla realtà di molti ebrei moderni i cui figli hanno un solo genitore ebreo e che potrebbero altrimenti allontanarsi dal mondo ebraico.

Per completezza dovrei aggiungere che, in Europa, il ghiur katan è molto più diffuso. Ancora una volta una famiglia deve impegnarsi nell'apprendimento dell’ebraismo e della pratica ebraica: viene messo in atto un programma di studio, i bambini maschi ricevono il brit milà, la famiglia appare davanti al nostro Beit Din per richiedere il ghiur e il bambino riceve un certificato di conversione dopo aver adempiuto al mikvè. Il certificato del nostro Beit Din europeo è sicuramente riconosciuto in Israele ai fini dell’Aliyà ecc. Ed è riconosciuto in tutto il mondo nelle comunità Progressive e Masortì.

Anche i nostri Batei Din emettono Gittin, di nuovo in piena conformità con la halachà. Non c'è motivo per cui successivamente i bambini debbano diventare mamzerim.

Sorvolerò su alcune delle affermazioni successive di Rav Sciunnach, che servono solo a riportarci al dovere contenuto nel detto di Hillel "ciò che è odioso per te non fare agli altri". Non solo mostra ignoranza dell'Ebraismo Riformato, ma è anche insultante in maniera gratuita sia verso il Cristianesimo che verso l'Islam, anche se immagino che Rav Sciunnach non fosse a conoscenza di questo effetto quando ha scelto di scrivere questa polemica.

Tornerò comunque alle sue osservazioni iniziali e a quelle di Rav Punturello.

Rav Sciunnach ha scritto "Insinuazioni, critiche, opposizioni e provocazioni hanno sempre accompagnato la storia degli esseri umani". Mentre il suo pezzo è scritto esattamente in questo modalità, le nostre vite nel mondo reale non devono essere così. Potremmo non essere sempre d'accordo, ma Derech Eretz ci chiede, quando non siamo d'accordo, di usare un linguaggio onorevole e cortese e di cercare di ascoltare e comprendere il nostro interlocutore. Il fatto che il nostro mondo ebraico sia un piccolo gruppo all'interno di un contesto molto più ampio dovrebbe anche indirizzarci verso la ricerca di un modo per andare d'accordo e aiutarci a vicenda ad adempiere ai nostri destini ebraici. Non c'è "ortodossia" nell’ebraismo, infatti la parola (e l'idea) è stata creata solo all'inizio del XIX secolo per descrivere quegli ebrei che si opponevano alle idee illuministe, così è essa stessa un prodotto della modernità. Prima di ciò il mondo ebraico era organizzato in comunità autonome, che non sentivano il bisogno di guardare oltre le proprie spalle a quello che gli altri nel mondo ebraico avrebbero potuto fare. Sembra che l'ebraismo italiano sia stato in grado di continuare a farlo fino a poco tempo fa, quando la paura di ciò che Rav Sciunnach chiama "circoli rabbinici in tutto il mondo ortodosso ...” ha eroso la credibilità del rabbinato italiano. Se questo è il caso me ne dispiaccio, perché l'Italia ha in gran parte mantenuto molte tradizioni e comportamenti che sono andati persi nel resto del mondo ebraico, e questo ha contribuito alla sua ricca e variegata cultura ebraica.

Se Rav Sciunnach crede che l’ebraismo italiano sia davvero "debole, anziano e debilitato", allora tanto più a ragione dovremmo lavorare insieme dove possiamo rafforzare, dare energia e far rivivere le comunità ebraiche italiane. Per fare ciò non dobbiamo discutere o concordare sulla teologia, nessuno di noi ha bisogno dell'hechser (imprimatur) dell'altro, ma ognuno di noi ha bisogno delle strutture che contribuiscono alla vita ebraica, potremmo quindi condividere sessioni di studio aperte, accesso a mikvaot, accesso a cibi kasher ecc. senza calpestare l'identità o le attività dell'altro.

In molti altri paesi le varie correnti dell’ebraismo lavorano insieme per fornire le strutture d’aiuto agli ebrei del posto. Condividono gli spazi, sia concreti che metaforici, si incontrano e si sfidano in modo costruttivo, lavorano insieme per la comunità più ampia su questioni come la shechità o la sicurezza, i rapporti con Israele o con il governo. Non esiste una ragione halachica per cui questo non debba accadere, non c'è nemmeno una ragione "tradizionale" per non farlo accadere. L’ebraismo italiano era palesemente aperto e autonomo, orgoglioso della propria lunga tradizione e delle sue usanze uniche, senza paura delle opinioni di coloro che sceglievano di non essere d'accordo.

Non concordo con l'affermazione che per essere un rabbino si debbano avere attributi maschili, ma posso certamente essere d'accordo che per essere un rabbino si debba avere coraggio, visione, compassione e senso di appartenenza ad Am Yisrael, al popolo di Israele. Bisogna capire che mentre serviamo una comunità, il nostro "Padrone" non è in quella comunità, ma è l’Uno Eterno che ci osserva per vedere se ci comportiamo con compassione e rispetto per i nostri simili e se cerchiamo di soddisfare la Sua volontà in tutto ciò che facciamo.

Blu Greenberg una volta ha scritto che dove c'è una volontà rabbinica, c'è un modo halachico. Quindi, lasciatemi dire che i rabbini che servono le comunità di riforma in Italia hanno la volontà di lavorare con tutti coloro che vorranno collaborare con noi per servire l'intera comunità ebraica. Come ha scritto Rav Punturello, con la consapevolezza del nostro essere possiamo procedere per sbloccare un grande potenziale. Come leggiamo nella Mishnà, Pirkè Avot, Rabbi Tarfon disse: “Il giorno è corto; il lavoro da compiersi è molto; gli operai sono pigri; la ricompensa è grande; il padrone incalza".

Rav Sylvia Rothschild    

Lev Chadash Milano

 

Traduzione dall’inglese di Eva Mangialajo Rantzer          

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English version

 

I have read with interest the debate about a way forward for Italian Jewry and, while there are many issues to be considered, I would like to focus on the comments that seem to me the most critical for the Jews of Italy.

Rav Punturello paints a picture of a Jewish world formed of separate islands, lacking a broad vision for a vibrant Jewish future. It is, as he says, distressing, particularly when one considers the very long, rich and dynamic history of Italian Jewry. 

The response of Rav Sciunnach paints an equally distressing picture – of communities too small and too moribund to live fully Jewish lives, where the lack of facilities for tefillah and study, kasher supplies and mikveh, mean that for him they are “Jewish deserts” – and states that there is not the support structure in them for people who wish to join the community through conversion and so in his view conversion cannot happen.

I do not want to debate these viewpoints here, although they are certainly deserving of further testing, but I cannot allow Rav Sciunnach’s comments on Reform Judaism to stand unchallenged. 

To begin – his comment that “what matters and is essential, is service to be given to almighty God…sanctioning this with the observance of mitzvot, attachment to the Jewish people and to God, tefillah, observance of the Shabbat and kashrut, study of torah. These are the required pillars.”  

In many ways I do not disagree – conversion through the Reform movements would certainly expect these “pillars” to be in place, though we would probably have a different view on exactly how these pillars are defined and how they might be legitimately expressed. Given that very few born Jews are shomrei mitzvot and instead observe their mitzvot either by habit or tradition or because they find meaning or comfort in the observance, it seems strange to demand of the incomer something that the resident community generally ignores. Yet we encourage the observance of mitzvot as part of the process of conversion, in order to strengthen identity and develop Jewish competence.  Attachment to the Jewish people by becoming part of the kehillah as well as part of the wider Jewish world, prayer, making Shabbat, torah study, Jewish daily practise such as kashrut – these are all explored and developed in a conversion through our Beit Din. The difference is primarily the welcome at the gate, so to speak, and the expectation that as autonomous adult beings people will explore these “pillars”, and settle on their legitimate Jewish identity and way of being through a guided and supported process of learning and doing, rather than through didactic imperative. 

We know that conversion was originally not difficult – indeed Hillel famously converted a man immediately with the words “That which is hateful to you do not do to others, that is the entire Torah and the rest is its interpretation. Go and study” (Shabbat 31a).  Interestingly much commentary on what the newly converted Jew should study is the mitzvot bein adam le’chavero – those behaviours relating to the relationships between people (deriving from the earlier part of Hillel's instruction; and those mitzvot bein Adam laMakom – the relationship between the individual and God, are for a later time and less immediately relevant.  The same sugya tells us that the converts in the stories here came together and said “Shammai’s impatience sought to drive us from the world, Hillel’s patience brought us beneath the wings of the Shechinah”. 

We know that there are many in Italy who are “Zera Yisrael” – people of Jewish descent who desperately want to reclaim their Jewish roots and identity, as well as people on a spiritual and religious search. We know that many Italian Jews marry outside the religion and are looking for a way to keep their children within it. It is important the every stream of Judaism addresses these issues rather than simply say “it cannot be done”.

Rav Sciunnach continues his discourse with a very problematic understanding of the progressive Jewish world. Just like every part of the Jewish world, be it Sefarad/ Haredi/ Hasidic/”orthodox”/ modern orthodox, the progressive Jewish world is a rich and complex organism with many ways of expressing itself. Progressive Judaism in Europe is markedly different from that in the USA, and each is different again from how it is expressed in Israel. So for example, the patrilineal (or better the equilineal) principle is primarily an American phenomenon, in part because of the context of Reform Judaism being the majority stream there. But let me explain it, and explain why his assertion that many Jews in the Reform movement are not Jews is simply incorrect. The principle is that a child of one Jewish parent (of either sex) is born with the safek (doubt) of its Jewish status, as education and identity are seen as more powerful than the simple biology of being born from a womb that belongs to a woman who is Jewish.  That safek is removed when the child, having grown in a home  exclusively practising Judaism (and no other religion), having been part of Jewish community and studied Judaism formally until teenage, formally commits to their full Jewish status as bar/bat mitzvah, which is understood to be the moment of full conversion.  This requires a great deal of commitment from the family, and is a big demand on their time and their habits over many years. The patrilineal/equilineal principle is a thoughtful response to the reality of many modern Jews whose children have only one Jewish parent and who might otherwise drift from the Jewish world.

For the sake of completeness I should add that in Europe, giyyur katan is much more prevalent. Again a family must commit to Jewish learning and Jewish practise, a study programme is put in place, male children have brit milah, the family appear before our Beit Din to request giyyur, and the child receives a certificate of conversion after fulfilling mikveh.  The certificate of our European Beit Din is most certainly recognised in Israel for the purposes of Aliyah etc. and is recognised across the world in Progressive and Masorti communities.  

Our Batei Din also issue Gittin, again in full compliance with the halachah. There is no reason why any subsequent children need become mamzerim.

I will glide over the some of the later text from Rav Sciunnach, which serves only to bring us back to the need for Hillel’s dictum “what is hateful to you do not do to others”. Not only does it show ignorance of Reform Judaism, it is also gratuitously insulting to both Christianity and Islam, though I imagine Rav Sciunnach was not aware of this effect when he chose to write this polemic. 

I will however return both to his opening remarks and to the remarks of Rav Punturello. 

Rav Sciunnach wrote “Insinuations, criticisms, oppositions and provocations have always accompanied the history of human beings”.  While his piece is written exactly to this formula, our lives in the real world do not have to be like this. We may not always agree, but Derech Eretz demands of us that we should disagree in honourable and courteous language and try to hear and understand our interlocutor.  The fact that our Jewish world is a small group within a much larger context should also direct us to try to find ways to get along, and to help each other fulfil our Jewish destinies; There is no “orthodoxy” in Judaism – indeed the word (and the idea) was only created in the early 19th century to describe those Jews who opposed enlightenment ideas – so is itself a product of modernity. Before this the Jewish world was organised in autonomous communities, who felt no need to look over their shoulders at what others in the Jewish world might be doing – something that Italy Jewry seem to have been able to continue doing until quite recently, when a fear of what Rav Sciunnach calls “rabbinic circles throughout the orthodox world….eroded the credibility of the Italian Rabbinate”.  I am sad if this is the case, for Italy has by and large maintained many traditions and behaviours which became lost to the rest of the Jewish world, and this has contributed to its rich and diverse Jewish culture. 

If Rav Sciunnach believes that Italian Judaism really is” weak, elderly and debilitated”, then all the more reason we should work together where we can to strengthen, energise and revive Italian Jewish communities. We do not have to debate or agree theology to do this, neither of us needs the hechser (imprimatur) of the other, but each of us needs the facilities that contribute to Jewish life – we could share open learning sessions, access to mikvaot, access to kosher foods etc. without trampling on the identity or activities of the other. 

In many other countries the various streams of Judaism work together to provide the facilities to help the Jews of their place. They share spaces – both concrete and metaphorical, encounter each other and challenge constructively, work together for the wider community on issues such as shechita or security, relationships with Israel or with government. There is no halachic reason this should not happen, there is not even frankly any “traditional” reason this should not happen. Clearly Italian Judaism was open and autonomous, proud of its long tradition and its unique customs, unafraid of the opinions of those who chose to disagree. 

I cannot agree with the statement that to be a rabbi one needs to have male genitalia – but I can most certainly agree that to be a rabbi one needs to have courage, vision, compassion, a sense of being part of Am Yisrael – the people of Israel. One needs to understand that while we serve a community, our “Master” is not in that community, but is the Holy One on high who watches to see that we behave with compassion and respect for our fellow human beings and that we try to fulfil God’s will in all that we do.

Blu Greenberg once wrote that where there is a rabbinic will, there is a halachic way. So let me say that the rabbis who serve the reform communities in Italy have the will to work with all who will work with us to serve the whole Jewish community. As Rav Punturello wrote, with awareness of who we all are we can proceed to unlock a great potential.  As we read in Mishnah Pirkei Avot Rabbi Tarfon said: "The day is short, the work is great, the workers are lazy, the reward is great, and the Master of the house presses.”

Rav Sylvia Rothschild

Lev Chadash Milano        

ven, 26 aprile 2024 18 Nissàn 5784