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  PURIM 5777 - rav S. Rothschild

Purim è forse la festività ebraica più difficile da spiegare agli ebrei e ai non ebrei. Non  affonda le proprie radici nella Torà. La sua storia è narrata nell'unico libro biblico dove Dio non è menzionato, la Meghillat Ester, nel quale manca anche qualsiasi riferimento alla Terra d’Israele, ai riti del Tempio o ad una qualsiasi espressione ebraica riconoscibile. La festa è invece famosa per il rumore, il bere in eccesso, la celebrazione della violenza, alcuni comportamenti decisamente “non religiosi” e per i travestimenti.

La storia è ambientata in Persia, nel terzo anno del regno del re Assuero (probabilmente Serse, re di Persia, nel quinto secolo p.e.v). Unuomo ebreo di nome Mordechai permette a sua nipote Ester di partecipare ad un concorso di bellezza per eleggere la nuova regina al posto di Vashti, che è stata espulsa per insubordinazione. Ester diventa quindi una creatura mitica, una principessa ebrea, ma non rivela a nessuno la sua identità ebraica finché non viene svelato il piano per il genocidio degli ebrei ad opera di Haman, fidato consigliere del re. Trovatasi in una posizione di influenza, Ester convince il re che Haman deve essere rimosso, ma tragicamente l’editto (del genocidio), una volta emesso, non può più essere abrogato e l’unica soluzione è di comandare agli ebrei di difendersi dall’attacco dei persiani. Così, nella data scelta tirando a sorte (Purim), il tredicesimo del mese di Adar, cinquecento attaccanti vengono uccisi a Sushan, Susa, la capitale, e settantacinque mila nel resto dell’impero. Non ci sono razzie, si tratta semplicemente di un atto di autodifesa. Il giorno seguente, il quattordici di Adar, viene scelto per festeggiare la salvezza ed Ester invia una lettera in tutto l’impero nella quale comanda che l’evento venga commemorato ogni anno.

Al di fuori della Meghillà non esistono prove di Ester e di questa vicenda, ma il genere della storia, naturalmente, è uno che conosciamo bene: gli ebrei che vivono controvoglia in una terra non loro scoprono di essere sgraditi o diventano capro espiatorio o semplicemente pedine politiche nei giochi di potere di qualcun altro. È perché hanno successo e diventano quindi vittime di gelosia oppure perché non hanno successo e sono percepiti come parassiti? Qualunque sia il pretesto, l'esperienza storica ebraica è stata caratterizzata da diversi livelli di insicurezza e dalla dipendenza trepidante dalla buona volontà della comunità ospitante. Solitamente questo senso di apprensione ha avuto valide basi, perché nei momenti difficili la comunità ebraica era tradizionalmente vulnerabile. Questa festività non segna una ricorrenza agricola né un evento teologico, ma fa riferimento piuttosto all’esperienza di vita di un popolo nella Diaspora.

Il sabato sera l’Havdalà segna malinconicamente la fine dello Shabbat. Ci lasciamo alle spalle il conforto dello Shabbat e ricominciamo una settimana di lavoro, con il suo carico di problemi legati al mondo esterno. Il servizio inizia con una serie di versi tratti principalmente dal libro dei Salmi e dal profeta Isaia, che parlano della protezione di Dio e della speranza nella salvezza divina. Un versetto spicca sugli altri, a mio parere, in questa raccolta di versi che parlano di conforto in un mondo inquietante. Dal libro di Ester leggiamo: "La'yehudim ha'ytà orà ve'simchà ve'sasson viykar - gli ebrei avevano la luce, la felicità, la gioia e l’onore" (Ester 8,16), seguito dalla speranzosa aggiunta: "Ken tihyeh lanu - che sia lo stesso per noi". L'utilizzo di questo versetto durante l’Havdalà, e la risposta che viene aggiunta ad esso, mi parla dell'ansia chiara e ricorrente della comunità ebraica che, essendosi staccata dal mondo durante lo Shabbat vissuto nella sicurezza, tranquillità e calore delle proprie case, si ritrova ora a dover nuovamente fronteggiare per sei giorni un mondo ostile. Solo dopo sei giorni sarà possibile nuovamente assaporare questa pace.

Purim è una festa strana, perché è essenzialmente una fantasia che mettiamo in atto un giorno all’anno. Durante questo breve tempo, tutte le solite regole vengono allentate. Viene incoraggiato il bere, tutto è pervaso da un’atmosfera carnevalesca, le persone si vestono in maschera e possono, seppure per un giorno, rompere il divieto di indossare  vestiti riservati al sesso opposto (OH 696: 8). Gioiosamente e rumorosamente cancelliamo il nome di Haman durante la lettura della Meghillà in sinagoga. Celebriamo il ribaltamento di quella che è la nostra storia abituale, per una volta siamo i vincitori, non le vittime. Per una volta resistiamo e combattiamo. Nel breve spazio di questa festa, fantastichiamo di vendicarci di tutti coloro che vogliono distruggerci ed umiliarci.

Permane, però, una certa ansia. È chiaramente comprensibile il voler immaginare di vincere contro i propri nemici almeno per un giorno all’anno, tuttavia l’effetto del farlo in maniera pubblica non è stato ignorato. Durante il periodo talmudico (Meghillà 7a), rav Shmuel bar Yehuda insegnò che Ester dovette implorare che la propria storia fosse raccontata. È un evento unico nella nostra tradizione, dove ricordare è l’essenza delle nostre attività. Rav Shmuel Bar Yehudah disse: “Ester inviò un messaggio ai Saggi: "Inseritemi nella memoria ebraica per tutte le generazioni!" Ma i saggi risposero: "La tua storia potrebbe incitare le nazioni contro di noi.” Ciò nonostante Ester rispose: “[È troppo tardi per questo]. La mia storia è già registrata nelle cronache dei re medi e persiani". In altre parole, sebbene la celebrazione della storia di Purim potesse danneggiare le relazioni interreligiose e potenzialmente essere pretesto per un pogrom, non poteva essere nascosta, quindi tanto vale raccontarla.

Nella nostra tradizione si è cercato di mitigare l'effetto della festa. Un commento su Ester (9,5) dice: "E gli ebrei sbaragliarono tutti i loro nemici con un colpo di spada, massacrando e annientando. E hanno fatto ai loro nemici come volevano”. Le parole “vaya'asu besone'eihem kiretzonam” - hanno fatto ai loro nemici come volevano - indicano che gli ebrei hanno agito nel modo in cui i loro nemici avrebbero voluto agire. In altre parole, si tratta semplicemente un capovolgimento degli oggetti attivi e passivi dei verbi, non di una nuova attività.

Agli inizi dell’ebraismo reform, si pose la questione di continuare a festeggiare la festa di Purim. Ai primi e schizzinosi riformati europei sembrava di cattivo gusto, rumorosa, crudele ed incivile, ossia l’emblema di tutto ciò da cui ci eravamo liberati, o così almeno pensavano. L’idea di rimuoverlo dal nostro calendario è però decaduta ormai da tanto. Purim è chiaramente una festa necessaria che ci permette di esplorare il nostro lato più oscuro in sicurezza e con confini chiari e certi, per un tempo molto breve ogni anno. Sebbene non siamo più un popolo totalmente dipendente da una comunità ospitante, ma abbiamo una nostra terra, la storia di Purim mantiene la sua importanza e il suo significato, nell’espressione del dolore e della frustrazione per essere stati il capro espiatorio in tanti luoghi lungo innumerevoli generazioni.

La questione ora è, naturalmente, come rapportarsi al nostro lato oscuro al di fuori di Purim, come affrontare il dolore, che alcuni dicono sia stato impresso dalla storia nel nostro DNA, in modo che non venga soppresso, ma riconosciuto e ciò nonostante non influenzi il nostro giudizio. Questa è una priorità per la nostra generazione e quelle che ci seguiranno. Celebriamo giustamente la nostra sopravvivenza attraverso secoli di persecuzioni e la capacità e il diritto di combattere per questa sopravvivenza, mantenendo intatti i nostri valori e le nostre responsabilità. Dovremmo però sottolineare anche l'importanza di mantenere la prospettiva e i limiti che questa festività mette in luce, ricordando inoltre che la nostra identità si basa sul nostro comportamento tutti i giorni dell'anno.

 

gio, 25 aprile 2024 17 Nissàn 5784